11 Apr INADEMPIMENTO CONTRATTUALE E CORONAVIRUS
Gli effetti della pandemia sulle obbligazioni contrattuali.
I recenti accadimenti relativi alla pandemia di Coronavirus – Covid19 SARS-COV-2 – ed i conseguenti divieti imposti dai DPCM, pongono questioni anche di ordine economico giuridico e la domanda, frequentemente posta dai clienti agli studi legali, è se i divieti imposti alle attività produttive, possano giustificare il mancato o ritardato adempimento delle obbligazioni a scadere, o possano avere altro rilievo sui contratti già conclusi, definitivi i preliminari.
Quali saranno gli effetti sui contratti stipulati prima della crisi sanitaria?
La prospettiva economica non è confortante, stando alla previsione del Centro Studi di Confindustria (CSC) del 31 marzo 2020 per l’andamento dell’economia italiana. Infatti, se la fase acuta dell’emergenza sanitaria terminasse a maggio 2020 (il che non è affatto certo, stando ai dati oggi disponibili) e l’attività produttiva riprendesse progressivamente da fine aprile a fine giugno, il Centro Studi di Confindustria ha stimato un calo del PIL in Italia del 10% nei primi due trimestri, rispetto a fine 2019, seguito da un parziale recupero nella seconda metà dell’anno. Nella media del 2020, il CSC ha previsto una caduta del PIL pari al -6%. Il CSC ha stimato che ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una perdita ulteriore di PIL nell’ordine di almeno lo 0,75%.
L’alterazione degli equilibri nei rapporti contrattuali è stata l’inevitabile conseguenza dei grandi cambiamenti economici derivati dalla crisi sanitaria.
Il Governo ha quindi adottato vari provvedimenti d’urgenza, per tentare di arginare gli effetti dell’epidemia, anche sul piano giuridico economico, tra i quali il Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 il cui art. 91 (“Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”) che dispone:
– All’articolo 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti“.
In realtà, come si vedrà, tale disposizione è una norma speciale che ribadisce principi già saldamente presenti nel nostro ordinamento.
L’art. 1218 c.c. (Responsabilità del debitore) dispone che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”
L’art. 1223 c.c. è invece relativo al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
Le norme che rilevano nell’integrazione della fattispecie dell’art. 91 sono le disposizioni “di contenimento” adottate dal Presidente del Consiglio e dalle autorità competenti.Tale norma, di carattere speciale rispetto alle disposizioni del codice civile, rende giustificabile il ritardato o il mancato pagamento, a condizione che questo sia diretta conseguenza delle misure varate dall’autorità per il contenimento dell’emergenza epidemiologica, da ciò può conseguire che, se il Decreto impone la chiusura dell’attività imprenditoriale / commerciale / economica, sarebbe esclusa la responsabilità per l’inadempimento contrattuale e quindi l’inadempimento sarebbe giustificabile.
Deve comunque sussistere il nesso di causalità tra la misura di contenimento della pandemia varata dall’Autorità, restrittiva dell’attività, e l’impossibilità nell’eseguire la prestazione. La prova del nesso di causalità rimane comunque a carico del debitore, secondo la regola generale in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio.
E’ inoltre rilevante l’art. 1256 c.c. rubricato “Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea”: “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
Pertanto, quando l’obbligazione sia divenuta impossibile l’obbligazione si estingue. Il codice civile però prevede anche che, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione comporti che il debitore liberato non possa a sua volta chiedere la controprestazione e debba restituire quella che abbia eventualmente già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c).
E se l’impossibilità ad eseguire la prestazione è temporanea oppure solo parzialmente impossibile?
Quanto all’impossibilità temporanea, la norma di cui all’art. 1256 c.c., prevede che il debitore, finché l’impossibilità perdura, non sia responsabile del ritardo nell’adempimento. Pertanto, cessata la causa che ha determinato l’impossibilità della prestazione, il debitore è tenuto ad eseguire la prestazione stessa e, in caso di permanenza dell’impossibilità di una parte dell’obbligazione, troveranno applicazione gli artt. 1258 e 1464 c.c. Secondo la prima norma,“(Impossibilita’ parziale) “Se la prestazione e’ divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che e’ rimasta possibile”. In caso di contratto a prestazioni corrispettive l’art. 1464 c.c. stabilisce che “Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.”
E se l’adempimento dell’obbligazione è divenuto maggiormente oneroso?
Qualora si tratti invece di contratti di durata, nei quali l’esecuzione non è istantanea ma si protrae nel tempo, e l’emergenza sanitaria in atto abbia reso l’adempimento di talune prestazioni non assolutamente impossibile, ma maggiormente oneroso (ad esempio per aumento dei costi di lavorazione, produzione, di consegna) potrà essere opportuno avvalersi della norma prevista dall’art. 1467 c.c. , rubricato “Eccessiva onerosità sopravvenuta” il quale prevede: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.”
Si badi però che, invocare questa disposizione, qualora ve ne siano i presupposti, condurrebbe alla risoluzione del contratto da parte del debitore e non giustificare l’inadempimento.
Si aggiunga infine che le imprese che operano nei mercati internazionali, la cui attività è stata sospesa a causa dell’emergenza sanitaria da COVID-19, possono richiedere, alla Camera di commercio competente per territorio, il rilascio di attestazioni in lingua inglese di sussistenza di cause di forza maggiore nei contratti con l’estero. L’emissione della dichiarazione ha un costo di 3 euro di diritti di segreteria.
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